“Un libro per la memoria: sostieni la stampa del nostro libro fotografico sul Vajont”
La tragedia del Vajont, che ha segnato profondamente la storia di Longarone e delle comunità circostanti, non deve essere dimenticata.
Per anni ho lavorato a un libro fotografico che cattura la bellezza del paesaggio e il peso della memoria, un progetto nato dal desiderio di raccontare non solo la natura, ma anche i pensieri e le emozioni che emergono in questi luoghi.
Ogni fotografia è accompagnata da una riflessione, per portare il lettore in un viaggio emotivo attraverso quei luoghi segnati dalla storia.
Obiettivo della raccolta fondi:
Ora, vorrei fare un ulteriore passo avanti: stampare il libro e donarne delle copie ai musei e alle associazioni di Longarone, affinché questa memoria collettiva possa essere condivisa e tramandata. Per farlo, ho bisogno del vostro aiuto. La cifra che ci prefiggiamo di raccogliere permetterà di stampare un numero sufficiente di copie da distribuire GRATUITAMENTE a queste realtà che lavorano instancabilmente per preservare la memoria del Vajont.
Cosa puoi fare tu:
Con il tuo contributo, potrai diventare parte attiva di questo progetto. Non si tratta solo di stampare un libro, ma di donare un pezzo di storia e di testimonianza a chi continua a portare avanti il ricordo di ciò che è accaduto. Ogni donazione, piccola o grande, ci avvicina all’obiettivo di rendere questo libro accessibile e gratuito per musei, associazioni e altre realtà culturali del territorio.
Dove andranno i fondi:
•Costi di stampa e produzione.
•Spedizione delle copie ai musei e alle associazioni.
Conclusione:
Se sei interessato a sponsorizzare il progetto, contattami
e-mail: [email protected] ti fornirò tutte le informazioni che desideri, se invece vuoi donare clicca su questo LINK
Il Vajont è un simbolo di resilienza, di memoria e di storia. Con il tuo aiuto, possiamo portare avanti questa memoria, affinché non venga mai dimenticata. Sostienici nella realizzazione di questo progetto e fai parte di una comunità che crede nel potere della testimonianza e nella forza della cultura.
Era una di quelle giornate in ufficio in cui la tensione era palpabile. Avevamo un problema tra le mani, uno di quelli che non si risolvono con un colpo di genio o un piccolo aggiustamento. La soluzione sembrava distante, e tutti erano concentrati a cercare il modo di rimettere insieme i pezzi.
Mentre il team discuteva animatamente, un’idea un po’ pazza mi attraversò la mente. Decisi di interrompere la riunione: “Ragazzi, ho un’idea! E se invece di aggiustare il problema, gli mettessimo accanto la soluzione? In questo modo non solo evitiamo di risolverlo, ma possiamo persino usarlo come trampolino di lancio per promuovere la soluzione stessa!”
Ci fu un attimo di silenzio. Tutti mi guardarono con espressioni che variavano dal perplesso al divertito. Poi il capo, un uomo che aveva visto di tutto nel mondo del business, si piegò leggermente verso di me, con un sorriso sornione che prometteva una risposta altrettanto fuori dagli schemi.
“Fausto,” disse, “tu sei un vero sognatore. Ma lascia che te lo dica: non funzionerà mai. La gente comprerebbe l’articolo difettoso solo per avere una scusa per chiedere lo sconto!”
La stanza esplose in una risata collettiva, e non potei fare a meno di unirmi. Era come se fossimo tutti complici di una grande barzelletta, una di quelle che ti fanno riflettere mentre ridi. Ero lì, in piedi, a ridere con loro, ma la mia mente vagava altrove, afferrando un pensiero che mi faceva sorridere ancora di più.
Sapete, c’è una vecchia battuta che dice: “Io ci ho provato a farmi vedere da uno bravo, ma alla fine mi ha detto che il problema siete voi…” In quel momento, mi resi conto che il capo aveva ragione, ma non del tutto. Forse ero davvero un sognatore, forse la mia idea non avrebbe mai funzionato, ma non importava. Perché, alla fine, in un mondo dove tutti cercano soluzioni logiche e pratiche, a volte serve qualcuno che osi sognare in grande, anche se solo per ricordare agli altri che un po’ di follia non guasta mai.
E così, uscii dalla riunione con un sorriso e un pensiero fisso: forse non avevamo risolto il problema, ma almeno avevamo trovato un modo per riderci sopra. E in un mondo così complicato, forse è proprio questo il segreto per andare avanti.
La canzoncina che mi suona in testa al momento dello scatto, quella che lo scatto ispira o semplicemente quella che lo scatto mi ricorda.
Per ogni immagine: il testo della canzone e il link al video.
Ogni preghiera è una promessa a Dio
Che non ho mai dimenticato
La mia preghiera non raggiunse poi
O almeno ancora la strada che avrei sperato
Perdonare presuppone odiarti
E se dicessi che non so il perché dovrei mentirti
E tu lo sai che io con le bugie
Eh, mi manchi veramente troppo, troppo, troppo, ancoraHo passato tutto il giorno a ricordarti
Nella canzone che però non ascoltasti
Tanto lo so che con nessuno avrai più riso e pianto come con me
E lo so io, ma anche te
Quasi trent’anni per amarci proprio troppo
La vita senza avvisare poi ci piovve addosso
Ridigli in faccia al tempo quando passa, per favore
E ricordiamoglielo al mondo chi eravamo e che potremmo ritornarePasso la vita sperando mi capiscano
Amici e amori affini prima che finiscano e ancora
Sempre e solo una strada, la stessa
Scelgo sempre la più lunga, la più complessa
Quindi perché mi scanso invece di scontrarti?
E tu perché mi guardi se puoi reclamarmi?
Ricordi, ce lo insegnò il 2013
Io e te all’odio non sappiamo crederciHo passato tutto il giorno a ricordarti
Nella canzone che però non ascoltasti
Tanto lo so che con nessuno avrai più riso e pianto come con me
E lo so io, ma anche te
Quasi trent’anni per amarci proprio troppo
La vita senza avvisare poi ci piovve addosso
Ridigli in faccia al tempo quando passa, per favore
E ricordiamoglielo al mondo chi eravamo e che potremmo ritornareMusica più forte
Che sfidi la morte
Accarezza questa mia ferita
Che sfido la vitaHo passato tutto il giorno a ricordarti
Nella canzone che però non ascoltasti
Tanto lo so che con nessuno avrai più riso e pianto come con me
E lo so io, ma anche te
Quasi trent’anni per amarci proprio troppo
La vita senza avvisare poi ci piovve addosso
Diglielo in faccia, a voce alta, di ricordare
Quanto eravamo belli e di aspettare, perché potremmo ritornare
Testo di Potremmo ritornare © Sugarmusic Spa, Pandar Italia Srl
Compositori: Tiziano Ferro / Michael Tenisci
Fonte: Musixmatch
È così
Scegliere
Che ci sia luce nel disordine
È un racconto oltre le pagineSpingersi al limite
Non pensare sia impossibile
Camminare sulle immagini
E sentirci un po’ più liberi
E se si può tremare e perdersi
È per cercare un’altra via nell’animaStrada che si illumina
La paura che si sgretola
Perché adesso sai la verità
Questa vita tu vuoi viverla
Vuoi viverlaÈ cosi, sorridere
A quello che non sai comprendere
Perché il mondo può anche illuderci
Che non siamo dei miracoli
E se ci sentiamo fragili
È per cercare un’altra via nell’animaStrada che si illumina
E la paura che si sgretola
Perché adesso sai la verità
Questa vita tu vuoi viverla
Vuoi viverlaE vivi sempre
Ogni istante
Vivi sempre, ogni istante, ogni istante
Vivi sempre ogni istante
Vivi sempre ogni istante
Vivi sempre ogni istante
Vivi sempre ogni istante
(Per trovare un’altra via) nell’animaStrada che si illumina
E la paura che si sgretola
Perché adesso sai la verità
Questa vita tu vuoi viverla
Ogni istante
Vivi sempre ogni istante
Vivi sempre ogni istante
Vivi sempre ogni istante
Vivi sempre
Fonte: Musixmatch
Compositori: Elisa Toffoli (Vai al video)
Se ti scrivo solo adesso un motivo ci sarà
Non è mica san Lorenzo
Non ci sono stelle matte
Su ‘sta piccola città
Non ci sono desideri da non dire come tempo fa
Il destino ha la sua puntualità
Hai lottato come un uomo con la brutta compagnia
Che non eri mica stanco
Che nessuno mai è pronto quando c’è da andare via
Hai pregato bestemmiando per la rabbia per tutta l’agonia
Per le scelte che stava facendo dio
Non ci sono più i petardi
E nemmeno il diario vitt
Le bambine occhiate in chiesa sono tutte quante sposeSono tutte via da qui
Non si affaccia più tua madre alla finestra a urlare “tòt a cà”
Non c’è neanche più la tua curiosità
Dove sono le ragazze che sceglievano fra noi
E dov’è la nave scuola che hai confuso con l’amore
E forse lo era più che mai
Non c’è più la pallavolo e i tuoi attrezzi non c’è più l’hi-fi
Non ci sono più tutti quanti i tuoi guai
Quando hai solo diciott’anni quante cose che non saiQuando hai solo diciott’anni forse invece sai già tutto
Non dovresti crescer mai
Se ti scrivo solo adesso è che sono io così
è che arrivo spesso tardi
Quando sono già ricordi che hanno preso casa qui
Non è vero ciò che ho detto: qua c’è tutto a dire che ci sei
Fai buon viaggio e poi poi riposa se puoi
Fonte: Musixmatch
Compositori: Luciano LigabueTesto di Lettera a G.
© Warner Chappell Music Italiana Srl, Fuoritempo Srl
Per non dimenticare.
Il Vajont sono due tragedie, e sarebbe ora di distinguerle.
La prima tragedia è quella della Diga. Tragedia vera e immane per il dolore pubblico e privato che ha generato, per le inescusabili responsabilità che sottende, per l’evanescenza delle istituzioni coinvolte, per l’irrisorietà dei risarcimenti. Per non dire della avidità degli interessi privati che l’hanno generata. È una tragedia sotto i nostri occhi da cinquant’anni, circa la quale è stato detto tutto o quasi tutto. Quello che manca, se manca, non potrà di certo modificare il giudizio storico di quanto è accaduto.
Il fatto è che la tragedia del Vajont ha generato un’altra tragedia, dove noi siamo carnefici e vittime allo stesso tempo. Una tragedia, anche questa, evitabile e inescusabile. Anche questa collettiva, con l’aggravante che sembra non finire mai. E’ la tragedia della retorica e del dolore usati come arma contundente per una narrazione del territorio bellunese come luogo minore, marginale, oppresso, defraudato quando non deriso. Ci sono state le Vittime del Vajont? Ebbene, anche noi siamo vittime, pur se in un altro modo: vittime dell’economia, della storia, della politica, vittime del grande su noi che siamo piccoli.
Non che questo non sia stato vero. Lo è, in parte, anche oggi. Ma spesso la tragedia del Vajont è stata usata per ricostruire il bellunese come luogo di periferia a credito con lo Stato, perennemente in stato di bisogno, sempre defraudato. Se il bellunese oggi è un luogo di acrimonia diffusa – non passa giorno che qualcuno, la politica in primis, non si lamenti di qualcun altro – lo si deve soprattutto al brodo culturale che la Tragedia del Vajont ha generato. Non era un esito scontato.
Complice la politica, soprattutto quella “grande”, che quando viene nel bellunese corre a rendere omaggio alle Vittime del Vajont. É sempre giusto rendere omaggio ai morti, ma alcuni omaggi contengono una overdose di retorica del dolore della quale faremmo bene a liberarci. Essi omaggiano il territorio bellunese come eterna vittima, e al bellunese, oramai, piace sentirsi vittima.
Complice certa cultura locale che sulla tragedia del Vajont, e sulla propria presunta estraneità sociale, culturale e financo morale, ha costruito miti di libertà e di riscatto. Il Vajont come il male assoluto degli altri, in contrapposizione ad una propria purezza tenace e garibaldina. Cosa di meglio, allora, ad ogni anniversario, del reggere la bandiera dei giusti defraudati, dei preveggenti inascoltati, dei miseri derelitti?
Oggi, trascorsi cinquant’anni, bisognerebbe farla finita con la retorica del dolore che ci fa vittime di continuo, usandoci come strumenti per un altro fine. Basta con il Vajont come palcoscenico, soprattutto politico, ma non solo, dove si sale ogni 9 ottobre a far comizi. Dobbiamo andare oltre. E andare oltre non vuol dire dimenticare, ma avere il coraggio di scrivere un’altra storia, migliore di quella che abbiamo alle spalle. Non è con la cultura del dolore e della strumentalizzazione che si ricostruisce qualcosa di duraturo. Elaboriamolo, il lutto del Vajont, gli strumenti per farcene una ragione storica, politica e sociale li abbiamo.
Poi basta.
Poi, almeno per una volta, quando arriva il 9 ottobre, restiamo in silenzio.
Vincenzo Agostini, Ottobre 2013
Ciao Alex, tu non sai chi sono ma se ti prendi cinque minuti per arrivare in fondo a questa lettera ti prometto che te lo dico chi sono.
Volevo dirti che ho letto quasi tutti i tuoi libri, e tra i tanti ho apprezzato molto l’ultimo, in particolare quel capitolo dove citi Cesare Cremonini…
A dire il vero io questa lettera non volevo nemmeno scriverla e se non fosse stato per Silvester, che mi ha chiesto ripetutamente di parlare delle emozioni che ho provato domenica, io non sarei qui a buttare giù questo testo!
Ma son sincero, io preferisco parlarti di ciò che quella domenica mi ha insegnato; perché Alex tu devi sapere che io fino a qualche tempo fa, volevo essere Batman, anche perché io e lui abbiamo molte cose in comune!
Non ci credi? Te lo dimostro:
Sia io che lui abbiamo preso le nostre paure e invece di farle “vincere “ ne abbiamo fatto un punto di partenza per diventare invincibili (o quasi).
Come dici non ti basta?
Allora procedo:
anche io come lui, ho una bat caverna (ti metto le foto così mi credi) dalla quale ogni giorno, organizziamo la nostra vita per dare il massimo di noi stessi per i valori in cui crediamo,
anche io investo grossa parte dei miei averi in “gadget tecnologici “ che utilizzo quotidianamente nella lotta contro il “brutto “ di questa società moderna
e infine non ci crederai, ma circa due anni fa, ho addirittura acquistato una “bat mobile “ perché io ripeto, fino a qualche mese fa ci tenevo un sacco a essere Batman!
Ma poi ho capito una cosa, anzi come ti dicevo l’ho imparata proprio domenica:
Essere Batman, comporta, tra le altre, una grande controindicazione, ti espone, ti mette in vista e di conseguenza più sei Batman e più è facile che incontri uno/a degli innumerevoli Joker di cui il mondo, ahimè è pieno ed è per questo che le emozioni che ho provato domenica non le esterno,
Ecco, questo è quello che ho imparato domenica..
Ora ti lascio, ma non prima di mantenere la promessa iniziale, perché se sei arrivato fino a qui a leggere è giusto che io la mantenga, ti metto un’altra mia foto così se per caso ci dovessimo mai incontrare, magari anche tu mi riconosci, perché stanne certo, io se ti incontrassi ti riconoscerei:
In questa foto puoi vedere: Giovanni, Marika e Andry….
poi c’è anche “quell’altro “,
Ci sono io, come dici non mi vedi?
TranquilloAlex, ci sono sono quello che vuole essere Robin…
GRAZIE.
(Ma anche lo Spritz di Misano non scherza)
Un panino e un the freddo grazie!
E’ iniziata così, chi l’avrebbe mai detto….
Per la precisione un panino, un the freddo e qualche foto si sono trasformati in una storia di valori antichi, condivisi e coltivati.
Lui, big Gio, mi disse: “lascia che almeno ti offra il pranzo, visto che ci regali le foto”.
La mia risposta fu laconica: “no, non posso!!” Quasi scocciato risposi!,
“ se accetto anche solo il pranzo, vorrebbe dire che sto facendo lucro sulle mie immagini e questo non è possibile perché ho appena firmato una liberatoria dove dichiaravo che le foto non erano in vendita e sopratutto, cosa più importante andrebbe contro a i miei principi morali di usare il mio talento (che parolone, ma si sa parolone grosse fanno sempre effetto) per fini non umanitari ma di lucro”
E’ iniziata così una delle storie di vita più belle che posso raccontare….ma sinceramente questa è un’altra storia e non sono qui a parlare di questo…
Qualche giorno fa ho ricevuto una foto, da un uomo, un grande uomo che è anche un GRANDISSIMO padre, di un ragazzo eccezionale, inutile dire che immediatamente mi sentii onorato di avere ricevuto quello scatto, talmente onorato che, ci fu il rischio di montarsi la testa, ecco perché ho dovuto (anzi voluto) aspettare qualche giorno prima di rispondere al suo messaggio, nei giorni intercorsi tra l’arrivo del messaggio e la mia risposta ho viaggiato con la fantasia, tra chissà se ho capito bene il significato dello scatto e che onore l’ha mandata a me….
Poi ho deciso! Gli scrivo, lo ringrazio e chiedo chiarimenti!
Era proprio come immaginavo, il ragazzo, quel ragazzo così speciale, aveva la fidanzata!!!!!
E suo padre, UN GRANDE PADRE, aveva voluto condividere la notizia con me!!!
Ricordo che gli chiesi scusa, mentre domandavo se avevo capito bene sul fatto, gli chiesi scusa perché a essere così “curioso” potevo sembrare invadente, lui mi disse:
“Fausto non sei invadente per niente, sappi che questa foto l’ho condivisa con le persone speciali per me e Andri (nome di fantasia)
Ecco, la storia in breve è questa, i dettagli intimi me li tengo nel cuore.
Ora mi chiedo, se avessi rinunciato anche al più piccolo dei miei valori, se avessi accettato quel panino, sarebbe sfociata la grande amicizia con Gio?
E di conseguenza avrei mai conosciuto, quel grande uomo la sua stupenda famiglia? Avrei mai potuto “attingere” alla superba forza di Andry per averlo come esempio nei miei momenti bui?
A me piace pensare di no!
Se rinunciassi a ciò che sono e ai miei valori, non sarei quella persona che si merita di ricevere certe foto…..
Sia chiaro, non mi sento e non mi sentirò mai nessuno, migliore di altri o superiore, ma inizio a pensare che se certe cose mi accadono, forse e dico forse, qualche merito lo ho e forse qualcosa di buono l’ ho fatto!
Alla fine, quel panino a me la vita me l’ha cambiata, e poco tempo dopo, a Misano anche uno Spritz lo ha fatto…perché come diceva Galileo Galilei:
“ Anche negli oggetti “volgari” vi è la possibilità di trovare traccia dell’esistenza di Dio!”
Ma questa è un’altra storia, che magari un giorno racconterò…
Non so come (ma ho una vaga idea), non so quando ma so che un giorno, non molto lontano, mi “sdebiterò” per tutto il bene che mi hai fatto!
LUCIANO
Indossava un tutore, alla mano destra, quella che sarebbe servita di li a breve per firmare, firmare quei documenti che nessuno dovrebbe trovarsi a leggere e sottoscrivere nella vita; si perché di scelte di vita si trattava, vita di qualcun’altro.
Così all’improvviso Luciano (nome di fantasia) si era ritrovato a dover prendere decisioni cosi importanti, lui che al massimo aveva deciso che sugo mettere nei fusilli, oggi doveva chiedersi se tentare di salvare la vita del padre con un gesto estremo o se risparmiare al padre stesso a tutto il resto della famiglia uno proseguimento di stenti e di fatiche.
Luciano aveva le idee abbastanza chiare, sapeva già cosa avrebbe deciso, cosa avrebbe detto ai dottori non aveva mai avuto le idee cosi chiare in vita sua, fino a quando arrivò in reparto, si perché in quel reparto al 5° piano dell’ ospedale, la vita era assai diversa da come la immaginava lui o almeno era una vita “sconosciuta” ai più.
In quel lunghissimo corridoio del 5° piano, che appariva assai più lungo di quello che era in realtà, in alto sopra la porta campeggiava un enorme orologio digitale che alternava data e ora a cadenza quasi logorroica, quasi volesse porre l’accento su ogni singolo minuto passato in questo luogo, a Luciano pareva di sentirla, quella voce che continuava a ripetere “lo vedi quanto sei fortunato a non dover vivere qui dentro?”.
Nel frattempo la vita de decine di persone scorreva lenta e inesorabile in un’intreccio di dolore e speranze, un’anziana moglie spingeva una carrozzina con a “bordo” un vecchio marito,
personaggi che sembravano essere usciti dai cartoni animati dei Simpson dialogavano su quali medicinali ingerire mancava solo la classica frase “libera i cani..” il tutto nell’andirivieni di infermiere indaffarate in mille cose, quasi sembravano formiche operaie durante la stagione dell’approvvigionamento in vista dell’inverno; la più anziana di esse che curava con fare materno il padre di Luciano.
Bastarono qui pochi, ma lunghissimi minuti a Luciano per cambiare idea, perché in quei cinquanta minuti egli aveva apprezzato la vita come non mai prima, decise allora di tentare di “donare” al proprio padre un’ulteriore possibilità, consapevole che di li avanti la vita di entrambi e di molte altre persone sarebbe stata più dura , ma comunque degna di essere vissuta fino all’ultimo e in ogni modo.
Si tolse il tutore, firmò le carte e tornò ad osservare le vite e i momenti che scorrevano inesorabili in un continuo alternarsi di dolore, speranze attese e a volte disilluse.
Poi, trascorse una manciata di ore a Luciano venne posto un quesito assai più grave, assai più importante e “pesante” a Luciano venne chiesto di decidere tra una fievole speranza e un’ inesorabile quanto devastante certezza… ma questa è un’ altra storia, cosa abbia deciso e perché, resterà per sempre un segreto, nascosto nell’angolo più remoto del suo cuore sommerso da centinaia di ricordi così brutti che non è giusto raccontare.
Furono solo poche ore di quel giorno, poche se pensiamo al contesto di una vita, ma vi assicuro furono ore che la vita, la cambiano davvero.
A mio padre.
19/9/1937 – 16/3/2018
Il fotografo professionista pratica la fotografia come professione (per lavoro) seguendo principi etici e legali, volti a soddisfare il committente; il fotoamatore o “fotografo dilettante” invece pratica la fotografia per diletto, per svago, per divertimento, per passione (non a scopo di lucro), molto spesso per documentare o/e per ricordare o produrre ricordi.
Questa in sintesi la descrizione della parola fotografo.Tratto da Wikipedia
Ecco perché io non sono un fotografo, ho provato anche a cercare la definizione sul vocabolario.. Fotografo
Ma niente io non sono un fotografo!
Il vero fotografo è, secondo me, colui che oltre a essere appassionato di fotografia, passa buona parte del suo tempo a osservare il lavoro di altri fotografi attraverso mostre, libri, convention e quant’altro è colui che studia la tecnica e magari sa con perfezione certosina come posizionare le luci in uno studio o che posa fare assumere ai propri soggetti è colui che studia la fotografia in tutte le sue forme e in tutti i modi possibili, iscrivendosi magari a una quantità smisurata di canali video per vedere in anteprima l’ultimo tutorial sulla sua materia preferita, la fotografia in tutte le sue sfaccettature appunto.
Oppure è colui che è disposto a sgomitare nella ressa tra colleghi per ottenere l’inquadratura migliore e infine è sicuramente colui che sa vendere in primis se stesso e di conseguenza il proprio prodotto.
Io non sono nulla di tutto questo!
Se ti aspetti da me che sappia dirti quale è l’attrezzo migliore, la migliore ottica o l’ultimo ritrovato in materia di luci da studio allora sei nel posto sbagliato.
Io al massimo posso invitarti a leggere questo: Imparare a fotografare
Io di certo saprò insegnarti a come ringraziare ogni volta ogni tuo singolo soggetto, perché sono fermamente convinto che anche il migliore dei fotografi non sarebbe nulla senza la disponibilità (mai scontata) dei propri soggetti a lasciarsi riprendere.
Io sono “solo” una semplice persona, con un trascorso alle spalle (come tutti del resto) un trascorso fatto di delusioni ferite e cicatrici nel cuore, schiavo di un passato che mi rende umile e ferito allo stesso tempo, ferite alle quali però non voglio soccombere e che anzi mi fanno gridare vendetta!
Una vendetta che cerco di mettere con tutto me stesso nello scattare immagini!
Una vendetta che si compie ogni qual volta riesco a creare uno scatto che “combatte” o è agli antipodi di tutto il dolore che ho dentro.
Ecco io sono IO e non sono certamente un fotografo.
Pensavo fossi uno stronzo…..
Tutti i nomi utilizzati in questo racconto sono nomi di fantasia, il racconto è basato su una storia vera.
Ringrazio Luciano, che ha voluto passare con me un pomeriggio intero di chiacchiere durante il quale mi ha fatto partecipe anche di questo racconto.
Era la sera di san Valentino, circa le 22.00, avevamo appena finito di cenare con la pizza presa ad asporto nel vicino locale, Rebecca mia figlia di undici anni esordisce con volto quasi scuro di delusione:
“Papà ma sei proprio cattivo, è san Valentino e non hai preso La Rosa alla mamma!”
La guardo negli occhi, sorrido e le parlo:
“Vedi Rebecca, voglio raccontarti due cose, la prima che devi sapere riguarda un’aneddoto accaduto due giorni fa, erano circa le 23 del 12 Febbraio, non era certo san Valentino, le farmacie come i negozi a quell’ora erano chiusi naturalmente, io e mamma eravamo già a letto da un’ora almeno ma, un terribile mal di testa che aveva colpito stranamente entrambi non ci lasciava dormire, fu allora che decisi di recarmi in cucina, per cercare un’analgesico che potesse dare sollievo a entrambi, chiesi a tua madre lo vuoi anche tu? Lo chiesi nonostante sapessi già che la risposta sarebbe stata si, ok! Risposi stai comoda te lo porto io!
Arrivato in cucina, apro la cassetta dei medicinali prendo la scatola e ahimè mi accorgo che vi è al suo interno solo una pastiglia, l’ultima, non ti nascondo figlia mia che subito ho imprecato!
Ma poi dopo un solo secondo, mi è uscito il sorriso, ho preso la pastiglia, un bicchiere d’acqua e facendo le scale i mie pensieri erano felici, non so perché nonostante fosse solo il 12 di Febbraio, mentre salivo le scale, mi venne in mente la frase buia san Valentino…… arrivato in camera, diedi l’acqua e la pastiglia alla mamma e alla sua richiesta, tu l’hai già presa? Risposi si, l’ho presa giù di sotto. Inutile dirti che dopo pochi minuti, circa quaranta a dire il vero l’analgesico iniziò il suo effetto e la mamma si addormentò, mentre la mia nottata fu totalmente diversa, ma non è quello che conta……”.
Quello che sto cercando di dirti Rebecca è che:
“Non ho bisogno che sia un calendario a dirmi quando è la festa dell’amore, non ho bisogno di una rosa per sapere quando e quanto sono\siamo amati e non ho bisogno nemmeno di esternare con le parole, quali e quante azioni compiamo ogni giorno in nome dell’amore, tanto è che la mamma non ha mai saputo che quella era l’ultima pastiglia perché il giorno dopo, dopo essere stato in farmacia, mi sono affrettato a sostituire la scatola vuota prima che lei se ne accorgesse, perché Rebecca devi sapere che per ciò che mi riguarda, decido io quando, come, quanto e chi amare e lo faccio ogni giorno non solo il quattordici di Febbraio!”
Lei mi guarda e tutto a un tratto il suo viso da scuro diventa luminoso e esclama senza nemmeno pensarci tanto:
“Papà, pensavo fossi stronzo, ma mi sbagliavo! Ma mi hai detto che dovevi raccontarti due aneddoti e questo è solo uno, l’altro quale è?”
Le sorrido, mentre però inizio a recitare la parte dell’arrabbiato:
“ah si Rebecca, c’è un’altra cosa che devi sapere ma ricordati che alla fine del discorso ti devo sgridare;
l’altra cosa che devi sapere è che, io questa sera avevo in tasca solo 60€ in contanti mentre i bancomat li aveva la mamma, cosi mi sono trovato a scegliere tra se comprare 2\3 rose solo per la mamma o fare qualcosa di, secondo me, più profondo e duraturo di una rosa che tra 2\3 giorni sfiorirà, così ho scelto, ho scelto di fare qualcosa per tutte le persone che amo non solo per una, ho scelto di fare riposare la mamma, di sollevare te e tuo fratello dal vostro incarico serale ho scelto di scrivere un messaggio a tua sorella per farle sentire considerata…… è ho compiuto un’azione che unisse tutte queste cose in un unico gesto, banale ma carico di significato!”
Lei stranita: “E quale sarebbe questo gesto?”
Sorrido! E le chiedo:
“Hai presente le pizze che hai mangiato questa sera?
Avete dovuto apparecchiare? Mamma ha dovuto cucinare?…………..buon san Valentino!”
“Buon san Valentino papà, ma perché mi devi sgridare? Ti prego non farlo, stronzo mi è scappato!”
No Rebecca, non ti sgrido per lo stronzo….. ma bensì perché ti sei fermata alle apparenze………
Tratto da una storia vera.
Ventitré anni, erano ventitré anni che non accadeva.
Non me lo ricordo nemmeno quando è stata l’ultima volta ricordo solo che ventitré anni sono passati di sicuro, ma questa sera è successo, sono andato a fare spesa da solo, ho preso il carrello ma senza usare la monetina perché io ho il portachiavi a forma di soldo, perché io sono razzista, o almeno così dicono, e il soldino alla fine della spesa mica lo voglio dare all’ extracomunitario di turno che mi aspetta nel parcheggio, l’ho preso e è stato anche divertente correre nella neve fresca appena caduta simulando le sbandate del Drifting, mica avrei potuto immaginare che di li a poco il mondo mi sarebbe crollato addosso.
Entro nel supermercato, accendo il telefono, apro Inote, si perché i tecnologici la lista della spesa la fanno col pc e poi la condividono e subito mi pervade una strana sensazione, non ci faccio caso e mi dirigo verso la corsia degli animali, perché la roba più pesante la devo mettere sotto, spingo a fatica il carrello con una mano mentre nell’ altra reggo il cellulare e di nuovo quella sensazione, arrivo a latticini, si perché la roba che si schiaccia la devo mettere sopra e mi cade l’occhio sulla corsia delle cianfrusaglie ed è li che si ripresenta quella sensazione ma stavolta capisco, capisco e sto male, mi manca, solitamente lei fa spesa, spinge il carrello con meno fatica, si perché lei non è tecnologica e la lista della spesa la usa di carta, anzi, a pensarci bene non l’ho mai vista con la lista della spesa, perché non sarà tecnologica ma quando c’è da curare la casa e la famiglia ha una memoria di ferro e una forza d’acciaio;
mentre lei fa la spesa io ho sempre il tempo di controllare tra le cianfrusaglie l’ultimo tipo di cacciavite, il nuovo set da ufficio (ne avrò presi 50 e non ho nemmeno un’ufficio) o magari qualche accroccrio che può tornarmi utile in fotografia, ma questa sera no, non posso, non ho tempo perché altrimenti nessuno spinge il carrello e non posso andare da nessuno a chiedere:
“hai finito? andiamo ?” e con la malinconia di un bambino a cui viene detto che è l’ultimo giro poi si va a casa e fino all’anno prossimo, alla prossima fiera del prosciutto non si torna a luna park lascio la corsia delle cianfrusaglie e mi dirigo verso quella della pasta, ed è li che ricevo il colpo di grazia, pensando ad alta voce esclamo:”solo gli spaghetti sono integrali non c’è altra pasta?” doveva essere un pensiero, ma il mio maledetto vizio di parlare tra me e me fa in modo che una signora mi senta….
Che dire era pure una bella signora, con forse solo dieci ani più di me, si gira mi sorride ed esclama:
“Gli spaghetti Barilla sono qui!”, chissà cosa ha capito del mio pensiero ad alta voce se la sua risposta è così fuori tema, ma poco importa, quella che per lei doveva essere una cortesia, a me è sembrata una catastrofe!
Mi sono detto:”Devo proprio sembrare un single disperato se ho bisogno di farmi dire dove sono gli spaghetti!” poi mi guardo la mano sinistra e noto che tra l’altro non porto la fede…
Rispondo alla signora con gentilezza un grazie che in realtà sa di amaro e per non urtare i suoi sentimenti, mi compro anche una scatola di spaghetti Barilla che non avevo di certo preventivato di comprare e intanto ancora amareggiato per non aver potuto “sguazzare” nelle cianfrusaglie, quella sensazione di tremenda solitudine mi pervade, spingo il carrello, arrivo alla cassa, mi manca e sto male.
Tocca a me, e questa volta sono da solo “contro” la cassiera, si perché di solito facciamo a gare se siamo più veloci noi riporre nel carrello la merce o la cassiera a passare la spesa, inutile dirlo, io non sono pratico, io sono da solo e questa volta la cassiera vince, ma il problema è che mi manca….
Erano ventitré anni che non andavo a fare spesa da solo e non mi sono mai sentito così vuoto, penso proprio che da oggi in poi a mia moglie il carrello lo spingo io e le chiederò di guardare tra le cianfrusaglie insieme a me.
Questa sera, il Drifting non mi basta anzi questa sera in un certo senso il Drifting “lo odio”, si perché il Drifting mi ha aperto il cuore, ma quando vai a fare spesa do solo, un cuore aperto sente più freddo.