Mese: Ottobre 2019

Il silenzio del Vajont.

Per non dimenticare.

Fortogna, 9 Ottobre 2016



Il Vajont sono due tragedie, e sarebbe ora di distinguerle.
La prima tragedia è quella della Diga. Tragedia vera e immane per il dolore pubblico e privato che ha generato, per le inescusabili responsabilità che sottende, per l’evanescenza delle istituzioni coinvolte, per l’irrisorietà dei risarcimenti. Per non dire della avidità degli interessi privati che l’hanno generata. È una tragedia sotto i nostri occhi da cinquant’anni, circa la quale è stato detto tutto o quasi tutto. Quello che manca, se manca, non potrà di certo modificare il giudizio storico di quanto è accaduto.

Fortogna,9 Ottobre 2016


Il fatto è che la tragedia del Vajont ha generato un’altra tragedia, dove noi siamo carnefici e vittime allo stesso tempo. Una tragedia, anche questa, evitabile e inescusabile. Anche questa collettiva, con l’aggravante che sembra non finire mai. E’ la tragedia della retorica e del dolore usati come arma contundente per una narrazione del territorio bellunese come luogo minore, marginale, oppresso, defraudato quando non deriso. Ci sono state le Vittime del Vajont? Ebbene, anche noi siamo vittime, pur se in un altro modo: vittime dell’economia, della storia, della politica, vittime del grande su noi che siamo piccoli. 

Non che questo non sia stato vero. Lo è, in parte, anche oggi. Ma spesso la tragedia del Vajont è stata usata per ricostruire il bellunese come luogo di periferia a credito con lo Stato, perennemente in stato di bisogno, sempre defraudato. Se il bellunese oggi è un luogo di acrimonia diffusa – non passa giorno che qualcuno, la politica in primis, non si lamenti di qualcun altro – lo si deve soprattutto al brodo culturale che la Tragedia del Vajont ha generato. Non era un esito scontato. 

Complice la politica, soprattutto quella “grande”, che quando viene nel bellunese corre a rendere omaggio alle Vittime del Vajont. É sempre giusto rendere omaggio ai morti, ma alcuni omaggi contengono una overdose di retorica del dolore della quale faremmo bene a liberarci. Essi omaggiano il territorio bellunese come eterna vittima, e al bellunese, oramai, piace sentirsi vittima. 

La diga, 9 Ottobre 2016

Complice certa cultura locale che sulla tragedia del Vajont, e sulla propria presunta estraneità sociale, culturale e financo morale, ha costruito miti di libertà e di riscatto. Il Vajont come il male assoluto degli altri, in contrapposizione ad una propria purezza tenace e garibaldina. Cosa di meglio, allora, ad ogni anniversario, del reggere la bandiera dei giusti defraudati, dei preveggenti inascoltati, dei miseri derelitti?
Oggi, trascorsi cinquant’anni, bisognerebbe farla finita con la retorica del dolore che ci fa vittime di continuo, usandoci come strumenti per un altro fine. Basta con il Vajont come palcoscenico, soprattutto politico, ma non solo, dove si sale ogni 9 ottobre a far comizi. Dobbiamo andare oltre. E andare oltre non vuol dire dimenticare, ma avere il coraggio di scrivere un’altra storia, migliore di quella che abbiamo alle spalle. Non è con la cultura del dolore e della strumentalizzazione che si ricostruisce qualcosa di duraturo. Elaboriamolo, il lutto del Vajont, gli strumenti per farcene una ragione storica, politica e sociale li abbiamo.
Poi basta. 
Poi, almeno per una volta, quando arriva il 9 ottobre, restiamo in silenzio.

Vincenzo Agostini, Ottobre 2013

Longarone, 9 Ottobre 2016